Fibrosi Polmonare Idiopatica


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La prima chiamata...

Sabato 31 ottobre 2009.
ore 17.37

Il giorno di halloween, un sabato speciale ma non per la festa.
Non so perché ma oggi non sono mai stato male e mi sento in forze e sono uscito sia la mattina che il pomeriggio per stare con mia moglie in negozio e non mi faccio più domande del dovuto….
Mi godo la giornata trascorsa e il sabato pomeriggio………
I bambini che entrano nel negozio e chiedono “dolcetto e scherzetto”, i tuoi figli che sono in giro per il quartiere a fare la stessa cosa.
Una festa che non ho mai condiviso ma alla fine ti arrendi al costume sociale e compri anche i dolcetti da dare, perché alla fine è piacevole e tenero vedere i bambini divertirsi.
Un sabato senza progetti, ma nulla di diverso degli ultimi da gennaio a oggi….un amico con cui parlare del più e del meno.

Poi si affaccia tua moglie, un po’ bianca in viso, espressione diversa dal solito ma parla con molta calma, annuisce, conferma, poi chiede da scrivere.
Non so perché ma la guardo e le chiedo “dobbiamo partire?”

La risposta è si.

Cambia tutto, è arrivata la chiamata tanto attesa e tanto temuta, forse anche idealizzata e entrata a diritto nel famoso limbo del “sarà che chiameranno proprio a me” . Ma ora è così.
Dobbiamo essere a Padova entro le 22.00.
Però non sei solo, c’è un altro possibile ricevente perciò potrebbe essere un viaggio a vuoto.
Il risultato è lo stesso e ora do un nome a quello status: panico.
Mi sento paralizzato, fisicamente e mentalmente; non so cosa fare ma mi ero preparato psicologicamente a questa evenienza perciò seguo la mia ideale scala di priorità che in realtà sono due telefonate.
Chiamo subito un amico della Croce Rossa per il trasporto e la fortuna vuole che era in servizio perciò non solo ho avuto l’ambulanza in breve ma lui e Serena, la sua ragazza e ovviamente nostra amica, come equipaggio assieme all'amico Mirko.
Poi chiamo Pierpaolo…. E parte la macchina organizzativa per il trasporto.
Ho, per quella che è la situazione, molta fortuna; avendo lavorato come ingranaggio di parte di questa macchina ora che ne sono fruitore mi trovo ad avere la possibilità di avere amici che la “guidano”
Da quel momento è buio totale, chiudiamo il negozio e andiamo a casa e tutto inizia a essere un film formato da spezzoni e da vuoti.
La mia mente non c’è più, cerco di riflettere ragionare pianificare e di stare calmo.
Ho i figli davanti: uno calmissimo e l’altro, il più piccolo, in preda alla disperazione e ai pianti che mai avrei immaginato.
Mi rendo conto di non riuscire a respirare, arrivo a casa e faccio fatica a fare qualsiasi cosa.
Ma nel frattempo inizio a chiamare le persone a cui voglio bene, a inviare sms e ti rendi conto che non esiste una priorità affettiva ma solo dettata da una iniziale selezione e poi da una rubrica ma soprattutto da una lucidità alterata che ti porta ricordare la mamma dopo il collega o altro.

Sono nel bagno, non so quanto sia passato ma la casa inizia a riempirti di voci, di volti che intravedo.
Un piacere immenso ma che non riesci a dimostrare, ad apprezzare a ricambiare.
Alla fine esci e trovi un’ambulanza, una macchina della Polizia.
Strano, ora sono qui per me…prima ero io che andavo per gli altri.
Salgo dietro, mi siedo, mi legano e si parte.
Il portellone si chiude e cancella i visi di tutti, da mio figlio al vicino di casa.
E parlano le sirene, la strada, il lampeggiante della macchina della Polizia che apre la strada nel traffico di una piccola cittadina il sabato pomeriggio.
Strade che conosco ma che non riconosco, che vedo dai vetri bagnati ma non piove.
Piango, l’ho fatto dal momento della telefonata, a rate ma con scadenze molto frequenti.
Lo sto facendo anche ora e mi ripeto che non sto andando al patibolo, che è quello che aspettavo, che è l’unica soluzione di continuità e che non è detto accada; ma non basta.
Il viaggio è fluido, si parla, si scherza, spesso sono al telefono e faccio anche il cretino.
Chiamo mio fratello e mia sorella e gli dico che passo per la loro città ma di non chiedermi di fermarmi perché ho fretta..casomai al ritorno se non va in porto la cosa ma siamo molti a cena :-)

Arrivo a Padova e trovo la scorta per arrivare all’ospedale.
Stesso scenario di prima, ma l’uscita al casello mi ha di nuovo portato la tensione.
Sono in anticipo sulla tabella di marcia di quasi un’ora.
Arrivo al reparto di chirurgia toracica e dopo la registrazione sono in una camerina singola, moderna, accogliente, mi fanno subito il prelievo e poi depilazione e infine le rx.

Ora sono in attesa e definitivamente pronto.

Mentre facevo le rx ho visto l’altro “pretendente”…ci vuol poco a capirlo….vicino di stanza, tubo al naso…stessa espressione imbarazzata.
Il problema è rompere il ghiaccio, perché non sei ad un concorso di bellezza e non c’è rivalità.
E’ egoismo di sopravvivenza, lo sai, ma non riesco a provarlo.
La domanda di rito tra “colleghi” è “cosa hai?”
“fiborsi cistica” è la risposta
E allora c’è poco da dire se non “tranquillo, la riserva sono io e se i polmoni sono entrambi a posto tocca a te” ma non provo delusione rispondendo.
Ci salutiamo.
L’attesa è lunghissima, indescrivibile, sdraiato sul letto della cameretta, con tanto da poter fare ma da non aver coraggio di accendere neppure il portatile per paura di non aver tempo.
I cellulari…rispondi agli sms ma le batterie sono scariche, ovviamente abbiamo dimenticato il carica batterie.
Un silenzio assoluto dove il rumore dell’ossigeno che passa nell’ampolla d’acqua sembra avere gli stessi decibel di un concerto di Vasco e ti impedisce di udire i rumori esterni, lo squillo del telefono, i passi di qualcuno.
Con me c’è mia moglie,il fratello il padre e mia mamma, le parole sono tante, pure quelle di speranza, ma io continuo ad essere realista sull’esito, so benissimo che la fibrosi cistica necessita di trapianto bilaterale ed è più difficile perciò inutile discutere..se così fosse sono felice per l’altro ragazzo; qualora ci fossero problemi ed è “buono” solo uno allora entra in campo la riserva, ma il titolare è lui.

Sono circa le due e trenta di notte quando entra il medico e ci dice con un tatto difficile da trovare che “purtroppo” i polmoni sono entrambi in buono stato perciò sarà l’altro candidato a sottoporsi al trapianto e conclude la frase con un “mi dispiace”.
Ho avuto sicuramente almeno tre ore di assoluto e assorto silenzio per riflettere a come avrei reagito ad una o all’altra eventualità ma non ho mai trovato una risposta.
Ho sorriso e ho detto “non importa, era di una risposta che avevo comunque bisogno. Grazie”
Ma era un sincero grazie di gratitudine e non di circostanza.
Ero stranamente tranquillo, forse avevo allontanato la paura di un intervento perché è innegabile che ci sia, ma mi era stata tolta la possibilità di dare la famosa svolta alla mia vita.
Ma non era una preoccupazione presente, sapevo e so benissimo che fa parte del gioco e che gioco non è.
Non ci sono ne vincitori ne vinti, c’è solo gente che soffre ognuno in maniera diversa.
Tre situazioni collegate da loro.
Due famiglie in preda alla speranza, una in preda al dolore e alla disperazione per una perdita ma piena di generosità e pertanto anche gli altri non devono essere da meno.
Certo, non sto parlando di un “prego, prendili pure te per primo”.
Sappiamo benissimo che ci sono dei parametri severi, attente valutazioni e questa esperienza, oggettivamente, ha confermato al pieno questa realtà oltre alla professionalità e umanità delle persone che sto incontrando sul mio cammino.
Ci stiamo chiedendo se non fosse stato meglio non incontrare l’altro candidato.
Le risposte sono varie, ma personalmente io la vedo in maniera particolare, intanto si devono fare i conti sotto il profilo logistico, dall’ubicazione delle stanze ai macchinari disponibili e il fatto di avere una stanza singola per entrambi è, a mio avviso, un grande sforzo logistico.
Per il discorso emotivo credo sia ininfluente.
Siamo tutti sulla stessa barca della vita a remare verso un sicuro approdo, c’è chi scende prima e chi remerà solamente per gli altri e mai vedrà la riva.
Fare lo struzzo non serve, la realtà non cambia e allora, nel momento in cui realizzi che non sono fantasie ma che le possibilità ci sono e che eri a un passo per farlo vuol dire che non puoi essere egoista o provare altri sentimenti ma che devi continuare a remare per arrivare alla tua riva, sapendo che anche altri hanno remato per te e altri remeranno dopo di te.

La tensione inizia a sciogliersi, inizi ad avvisare le persone più care, gli amici che fino a poco prima ti hanno contattato senza dimenticare che sono le due e mezza di notte per tutti.
E inizi a pensare sul da farsi, sai benissimo che puoi rimanere tranquillamente tutta la notte e fino al lunedì, che hai il tempo di organizzare il trasporto di rientro, che puoi aspettare e vedere se c’è posto nell’altro reparto dove sei atteso entro le prossime due settimane per i controlli.
Ma ha iniziato a invadermi la frenesia di tornare dai miei figli, poi di non essere un peso a nessuno, a non forzare qualcosa o qualcuno per un posto letto, a non tenerne occupato uno che potrebbe servire ad altri.
Mi hanno detto che mi chiameranno e fosse anche lunedì torno su, ogni cosa ha il suo tempo.
Allora decido di tornare a casa, faccio una botta di conti sull’ossigeno e me lo faccio bastare… starà al minimo, così raccogliamo le nostre cose e alle tre e trenta sono in macchina.
Alle sei sono a casa.

Rimane molto di questa esperienza,
bisogna riacquistare l’equilibrio, ma non è difficile basta una dormita e pensi a che caos hai combinato, alle persone che sono state in ansia, a quante ti sono state vicino e alla macchina organizzativa smossa…..
purtroppo la testa mi fa così e ho in mente solo la parola riconoscenza e grazie, ma dal profondo del cuore a tutti.

Come sarà la prossima volta?
Non lo so, ma non credo tanto diverso da questa…
Forse, ma questo lo penso ora, avviserò tutti a cose fatte…
Spero solo di farmi trovare più preparato perché ti rendi conto che, come in un viaggio di piacere, qualcosa lo dimentichi sempre.

La prova generale è andata.
Ora aspettiamo quella vera




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